VIBURNO: storie e arte

Leon Jan Wyczółkowski, "Viburno"

Il viburno è pianta conosciuta e utilizzata fin dai tempi più antichi. Vi ricordate di Ötzi, l’uomo preistorico ritrovato sul Similaun, in alta Val Senales, che visse nel 3300-3100 a.C.? Le aste delle frecce che portava con sé erano fatte di legno di Viburnum lantana. Ed erano fatte con viburno ancora nel VII sec. d.C. quelle degli archi barbarici ritrovate nel Sud della Germania. 

Viburnum opulus, ill. dal Codex Fuchs,
1536-1566

Lo stesso nome del nostro genere, viburno, viene dal latino “viere”, “legare, intrecciare”, forse per la flessibilità dei rami, con cui si facevano cesti. Pianta utile, dunque.

Letterariamente, nell’antica Roma è Virgilio che parla del viburno nelle Georgiche, un’opera dedicata all’agricoltura, in cui consiglia di piantare timo e viburno attorno agli alveari, perché le api abbiano a portata piante mellifere. (Libro IV, vv. 112-15). 
Sempre Virgilio, nelle Bucoliche, confronta Roma con Mantova (dove egli è nato), e paragona queste due città rispettivamente al cipresso e al viburno (Libro I, 19-25).

Il viburno, consacrato ai trionfi, era considerato augurale nelle case del mondo romano antico, e raffigurato volentieri, come si vede in questi splendidi affreschi di Pompei.
Pompei, Casa del Bracciale d’oro, affresco

Part. con Viburnum tinus
“i diversi colori attribuiti all’infiorescenza del viburno, bianco nel pieno della fioritura, rosa a boccioli chiusi e blu a semi maturi, permettono con sicurezza di identificarlo come Viburnum tinus” (Ciarallo, 2006).

È ancora il viburno tino che Ovidio canta nelle Metamorfosi, in un elenco di alberi che compaiono creati magicamente dalla musica di Orfeo: “il viburno dalle bacche cerule” (Libro X).

La considerazione per il viburno non si perde nel Medioevo, in cui gli si attribuiscono proprietà magiche, e nel Rinascimento: eccolo degno di figurare in un libro di preghiera dedicato ad Anna di Bretagna, sposa di ben due re francesi.

Viburnum opulus, miniatura – Jean Bourdichon, Libro d’ore di Anna di Bretagna (1503-8) – Parigi, Louvre
Viburnum tinus nel giardino di Boboli (Firenze)

Nel Rinascimento si afferma anche un nuovo stile nell’arte dei giardini, in cui la creazione umana vuol essere permanente e rigorosa; con il leccio, il cipresso, il bosso, anche il viburno (tino) entra nelle grandi siepi mantenute in forme obbligate o negli sfondi per statue e manufatti artistici.

Soprattutto il Viburnum opulus è attraente per fiori e bacche, e compare nelle pitture fiamminghe secentesche e anche in altri manufatti, come questo mobile intarsiato.

Jan van Mekeren (Amsterdam 1658-1733), Mobile intarsiato con disegno di vasi di fiori (fra cui Viburnum opulus),1690-1710. Londra, Victoria and Albert Museum.
Max Th. Streckenbach (1865-1936), Natura morta con papaveri e pallon di maggio, 1910

Anche nel secolo scorso il viburno è stato rappresentato nelle nature morte.


Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.

E mentre il Pascoli fa così volare le pesanti farfalle notturne tra le bianche infiorescenze – o almeno, così ci possiamo immaginare i versi de "Il gelsomino notturno" – , oltreoceano, dove la mentalità è più pratica, il viburno trova spazio in una serie pubblicitaria per tabacco.

Viburnum Opulus, dalla serie di figurine
sui fiori per promuovere le sigarette Old Judge.
1890. New York, Metropolitan Museum

Per finire in musica, ricordiamo Leoš Janáček (1854-1928), compositore Ceco, che recupera la tradizione popolare e compone i Cinque canti nazionali moravi. Uno di essi, con musica struggente, dice:

Perché tu, viburno, non sei in fiore,
Perché non sei pieno di bacche?
Io sarei pieno di bacche rosse, ma
I passeri le hanno beccate,
Le ragazze le hanno rotte
Le hanno strappate per donarle ai cappelli dei bei giovinetti
Ogni ragazza ha strappato un ramo per il suo bello
Ma io, io non ho a chi donarlo.

Si può ascoltarlo su youtube: https://www.youtube.com/watch?v=LrU9M17Tsc4

Nicoletta Fumagalli